Qualche tempo fa mi stavo domandando se la musica avesse un profondo effetto sulla nostra mente, così nelle varie ricerche effettuate mi imbattei in un’interessante intervista che andava ad affrontare l’argomento musica e mente, quale interazioni vi fossero, se vi fossero effettivamente, oppure no.
Si trattava di un’intervista a Norman M. Weinberger, professore di neurobiologia e comportamento all’Università della California a Irvine.
L’argomento trattato? Il ruolo della musica nella funzione cerebrale, come viene percepita e il ruolo dell’esperienza musicale personale nel cervello.
Una delle prime cose che sappiamo sull’interazione tra la musica e mente, o musica e cervello è che sembra che la musica sia parte del nostro patrimonio biologico.
Nasciamo ascoltando musica, cresciamo con la musica.
Chi ad esempio non ricorda la propria madre mentre cantava una ninna nanna e l’effetto calmante che aveva sul proprio fisico?
Questo non vuol dire che vi siano aeree del cervello deposte ad elaborare unicamente suoni musicali.
La musica è composta da molti elementi: ritmo, melodia e così via. Ad esempio, alcune cellule nell’emisfero destro rispondono più alla melodia che alla lingua.
In quell’intervista il professor Weinberger suggeriva che un aspetto fondamentale della percezione musicale è il riconoscimento di una melodia in chiavi diverse; il significato di ogni nota dipende molto dal suo contesto.
Per esempio, in uno studio esposero degli animali a tre semplici melodie con lo stesso tono medio. Quasi ogni neurone rispondeva in modo diverso a quel tono medio nei diversi contesti. Questo tipo di ricerca aiutò a scoprire come i processi musicali con profonde radici evolutive differivano da quelli che appaiono in seguito nelle preferenze specifiche della vita, ad esempio la cultura.
Quando un tono diventa importante, perché ad esempio, segnala il cibo, la risposta delle cellule a quel tono aumenta.
Potremmo definirla una funzione di base, appresa in modo automatico.
Alcuni anni fa, il professor Shaw e alcuni suoi colleghi “scoprirono” quello che fu poi chiamato “Effetto Mozart“.
In pratica, gli studenti universitari che ascoltavano Mozart per 10 minuti ottenevano risultati migliori sui test spazio-temporali.
Purtroppo, questa scoperta ha indotto molti a credere che i bambini potessero diventare più intelligenti, semplicemente ascoltando per 10 minuti alcune composizioni di Mozart.
Ma in realtà non è così, questo effetto migliorativo sulle prestazioni dura solo pochi minuti.
Mente e musica, vi sono benefici?
A conclusione di questa intervista veniva posta la fatidica domanda: “Ascoltare musica ha quindi qualche effetto sul cervello? Vi è qualche interazione musica e mente a lungo termine?”
La risposta? Sì!
Non si tratta di effetto Mozart, non basta ascoltare passivamente un brano musicale, serve tempo e pratica.
Gli studi effettuati suggerivano, e lo fanno ancora, che il coinvolgimento musicale a lungo termine raccoglie benefici cognitivi – nelle abilità linguistiche, nel ragionamento e nella creatività – e promuove l’adattamento sociale.
Mente e musica lavorano assieme, è un esercizio per il nostro cervello.
Suonare uno strumento, ad esempio, implica la visione, l’udito, il tatto, la pianificazione motoria, l’emozione, l’interpretazione dei simboli – ognuno dei quali attiva diversi sistemi cerebrali.
In conclusione potremmo dire che la musica aiuta la mente a crescere e sviluppare nuove abilità e capacità, aiuta anche a mantenere giovane e attivo il nostro cervello.
Ascoltare quindi musica positiva, imparare a suonare uno strumento musicale, non solo fa bene, ma ci migliora.
Il team di Ropmusic.it